Le stoppie del grano mietuto

Camminiamo da giorni in queste immense distese che qui chiamano mesetas; per strada sento uno strano suono, un gorgoglìo della terra, un crepitìo delle cortecce, non meglio identificato. Poi, classificare i suoni del cammino diviene un’attività redditizia: arricchisce l’archivio dei cassetti dei rumori, ordinati ed etichettati uno ad uno dentro alla memoria. Eppure di quello strepito non c’era traccia nei miei ricordi. Pensavo fosse l’acqua che frizzava nella borraccia: no. Lo scorrere della cinghia dello zaino che cedeva al suo peso: no. Una razza di grilli sordomuti che cantano piano per difendersi dalle prede: nemmeno. È lo sfrigolare delle stoppie del grano mietuto. Gambi di grano che friggono al sole d’agosto. Da umidi, rizzano al calore piano piano ed impercettibili. Lo scricchiolìo di stoppie di grano mietuto. Nuova ampollina nel mio archivio dei suoni: lo infilo nel ripiano più alto, insieme ai ricordi speciali per la mia veneranda età di 63 anni. Siamo dunque nelle mesetas, dove le cicogne fanno i nidi sui campanili delle chiese dei paesi, in mancanza, sui tralicci eretti appositamente. Questa la cosa più bella di oggi. Dopo chilometri e chilometri in mezzo al nulla ti chiedi dove sia il paese da raggiungere, che non si vede nemmeno in lontananza. E poi all’improvviso, sbucano i campanili, o i tralicci, con i nidi delle cicogne.