25^ tappa Foncebadon-Ponferrada km 33,9

Sab  30 giu 2018

I veri viaggiatori partono per partire; hanno i cuori leggeri, s’allontanano come palloncini. A loro destino mai cercano di sfuggire e, senza sapere perché sempre dicono: Andiamo! I loro desideri hanno la forma delle nuvole Charles Baudelaire.

I nostri due pellegrini continuano il loro cammino. Raggiungono oggi il tetto massimo, proprio alla Cruz de Hierro, inchiodata su un tumulo di pietre a quota 1.505 metri. Poco più avanti, incontrano il rifugio templare di Manjarín, in piedi dal 1993 grazie a Tomás Martínez, l’ultimo cavaliere Templare. Davanti a loro la regione Maragatera soccombe a El Bierzo, che si presenta  in una brutta discesa tra erbe, ginestre e sentiero ciotolato. El Acebo, Riego de Ambrós, Molinaseca, sulle rive del fiume Meruelo, ed infine Campo forniranno loro la visuale necessaria per raggiungere con successo Ponferrada, capitale della regione.

(Beppe) Quel mattino, di nuvole ce ne erano tante, anche parecchie. Ma i nostri desideri forse erano di più, dopo una notte in cui la pioggia battente faceva sentire il suo canto.

Ma come tutto, anche la notte aveva lasciato spazio alle ore miti, quelle del primo mattino. Ciò che restava di quella notte estranea e confusa era la paura di partire e di vedere cosa aveva provocato quella pioggia di fine giugno.

Sveglia alle 5. Fuori si avvertiva il brusìo di voci mattutine di pellegrini  pronti, su un cammino di pietre e preghiere, a sfidare le nuvole del Monte Irago.

Prendiamo un caffè nero bollente,  mentre  la fretta di coprirci con tutto quello che avevamo nelle mochillas era tanta, poi la compagnia di due amici ritrovati, Giuseppe ed Enrico, in attesa di muovere i primi passi del giorno. Insieme marchiamo il confine con una strada che ci reclamava e fremeva.

Muoviamo i primi passi, scaldando i muscoli indolenziti, sfidiamo le nuvole minacciose. Troviamo il coraggio e l’incoscienza di andare avanti per oltrepassare i limiti del nostro intelletto.

Saliamo in cima alla montagna, ostinati a camminare sulle difficoltà che incontriamo per strada. Andiamo avanti e, man mano che camminavamo, le nuvole si facevano da parte.

Una volta affrontati i primi chilometri lo spettacolo che ci aspettava era immenso.

Il panorama prima di raggiungere la Cruz de Hierro era un quadro che facevo fatica a tradurre in parole. Non ci provavo neanche. Mi affidavo all’obiettivo del mio fedele amico S6, anche se aveva i suoi limiti.

Pronti ad accogliere un morso allo stomaco, ci lasciavamo riempire gli occhi di lacrime pur non sapendo ancora nulla di ciò che ci attendeva. Raccoglievamo il coraggio per muovere gli ultimi passi e salire sotto la Croce.

Lo facevamo con cura, delicatezza e rispetto, perché stavamo camminando sui sassi deposti lì da chi, prima di noi, si era liberato l’anima. Macerie di ricordi e speranze ancora accese. La Croce di Ferro, a 250 chilometri da Santiago, nel punto più alto del Cammino (1505 metri), è un luogo intriso di storie.

Una leggenda narra che per la costruzione della Cattedrale di Santiago di Compostela sia stato chiesto ai pellegrini di contribuire con una pietra, da depositare dove sorge la Croce. Oggi, tradizione vuole che i pellegrini portino, dal loro luogo di origine, un sassolino o un oggetto allegorico da affidare alla Croce. E lo lascino ai suoi piedi, voltandogli le spalle. Un gesto simbolico ad indicare la liberazione dei peccati attraverso il sacrificio del cammino.

Ancora pochi metri, prima di abbandonare i nostri fardelli, per far passare oltre gli spiriti che ci tormentavano.

Ai piedi di quella montagnola ricoperta di sassi e santini, i passi fino a quel tronco di legno scalfito dai ricordi, si facevano sempre più pesanti.

Un cumulo di sassi posati lì per ritrovare la serhiamoenità sperata. L’ultima montagna da scalare.

Incontriamo la consapevolezza di dire addio a qualcosa che ormai viveva sotto pelle. La certezza che a quella Croce, tutti i nostri sbagli e le anime irrisolte avrebbero trovato la pace promessa. Dimentichiamo ogni turbamento. Condividiamo i fardelli con chi aveva avuto la fortuna di buttarseli alle spalle prima di noi e sussurriamo una preghiera, quella del pellegrino, pronunciata da millenni a venire:

Signore, possano queste pietre simbolo dei miei sforzi e dei miei amici che non possono essere qui, lungo il pellegrinaggio, e che lascio ai piedi della croce del Salvatore, pesare in favore dei nostri buoni propositi, il giorno in cui gli intenti di tutta la nostra vita saranno giudicati. E così sia. Amen.

Con un nodo in gola, riprendiamo a camminare. Facciamo sosta per un sello a Manjarin, l’ostello leggendario dei templari.

A Manjarin non c’è acqua né corrente. Un albergue vecchio stampo, in cui si prova l’ebrezza e il disagio dei pellegrini di un tempo.

Proseguiamo ancora in salita lungo la costa della montagna, quasi sempre in parallelo alla strada. Togliamo qualche maglia perché si scende e si suda. Dopo un breve tratto pianeggiante, la strada inizia ad avere forti pendenze, fino a raggiungere El Acebo di San Miguel.

Un paesino fatto di una manciata di case in pietra dai tetti di ardesia, nonché prima località del Bierzo. Facciamo la nostra prima colazione con brioche e spremuta d’arancia, quattro chiacchiere con qualche pellegrino e ripartiamo. Dopo circa un’ora di cammino, raggiungiamo Riego de Ambrós.

Superiamo Plaza San Sebastián, catturiamo qualche foto della Ermita e poi via verso Molinaseca, scendendo la valle dell’Arroyo de Prado. Uno dei tratti più impegnativi del Cammino, quindi raccomando Tatiana di fare molta attenzione a dove mettere i piedi, cercando di essere clemente con le ginocchia.

Uno scenario da fiaba, uno scivolo come strada, nel mentre ci sorpassa un gruppo di giovanissimi pellegrini spagnoli che fischiettano le note di una famosa canzone (dicono loro) a me sconosciuta.

Lungo la discesa di Molinaseca veniamo superati da parecchi pellegrini, uno tra questi rispondndo a mia moglie che gli dice buen camino, dice “no, mal camino” riferendosi alla pericolosità di quella brutta discesa che molti pellegrini evitano.

Comunque, acceleriamo il passo e dopo un po’ ci ritroviamo sul ponte medievale del fiume Meruelo.

Lì una sosta pranzo è consigliata,  per godere la vista delle limpide acque. Notiamo i ragazzi che ci avevano superato lungo il tragitto, sono seduti a cerchio al fresco degli alberi in riva al fiume.

Riprendiamo la strada verso Ponferrada, proseguendo lungo Avenida De Manuel Fraga Iribame. Superata la frazione di Patricia, seguiamo la via verso Campo, un paesino di origine medievale in cui si trovano affascinanti stemmi di armi sulle Casas Solariegas de Los Lunas, e le due case di Villaboa. Usciti da Campo, prendiamo la piana del río Boeza.

Un ultimo sforzo per attraversare il ponte pedonale da cui prende il nome la città. Nel 1082, infatti, il ponte venne rinforzato con del ferro estratto da alcune miniere presenti nella cittadina. Da qui il nome attuale: Ponferrada, ovvero Ponte di Ferro.

Con  le ginocchia in fiamme, raggiungiamo in nostro ostello. Anche questa giornata volge verso la sua conclusione, dove pianti e sollievi hanno spianato il cammino di un’alba all’essenza di lavanda.

 Dati tecnici della giornata:

  • Partenza ore: 6,30
  • Km percorsi: 33,9
  • Dislivello: -650
  • Meteo: variabile
  • Tempo impiegato: 8:15
  • Totale km. percorsi: 553,4
  • Km stimati a Santiago : 214